Intervista alla nostra équipe di operatorɜ legalɜ
© Immagine: Avvenire.it
La legge 50/2023 è stata la risposta del governo al naufragio avvenuto lo scorso 26 febbraio sulle coste di Cutro, in cui oltre cento persone partite dalla Turchia hanno perso la vita nel tentativo di arrivare in Italia. Ma quali sono le modifiche apportate da questa legge? Mirano davvero a migliorare le condizioni di chi viaggia verso l’Europa?
Abbiamo chiesto alla nostra équipe di operatori legali di darci un punto di vista su questa legge e sulle sulle sue probabili conseguenze.
Qual è l’approccio di questa legge?
La legge è stata presentata dopo la tragedia di Cutro con l’obiettivo dichiarato di risolvere alcuni problemi legati ai flussi migratori. Solo alcuni: la legge si presentava infatti già parziale, in quanto non aveva un approccio generale al tema, che ha tantissime criticità e meriterebbe una revisione sistemica, per mettere ordine e garanzie dove non ci sono. Il problema principale, però, è che questa legge va a complicare la materia anziché agevolarla. Questo è chiaro dal suo contenuto, ma anche dal modo in cui è scritta: utilizzando una tecnica di difficile lettura, che contribuisce a rendere più complessa la comprensione delle procedure, non solo per le persone richiedenti asilo direttamente interessate da esse, ma anche per gli operatori sociali, per le questure, le commissioni e tutto l’apparato che si occupa di richiedenti asilo. L’approccio della legge, dal nostro punto di vista, è molto propagandistico: il testo si presenta come repressivo, restringente e ostacolante, chiude molte possibilità e incastrerà molte persone in situazioni difficili, immaginando scenari temporanei che in realtà temporanei non sono. Prevede un sistema di contenimento rigido e severo, e utilizza un lessico molto penalistico, come se stessimo parlando di imputati e non di persone in cerca di protezione.
Quindi quale sembra essere lo scopo della legge?
Ci sembra che il governo abbia voluto agire per limitare il numero di persone che possono entrare (o restare) in Italia. Questo, però, solo nelle intenzioni di facciata, perché così non sarà e il legislatore lo sa bene: quello che prevediamo in seguito a questa legge è che molte persone resteranno, ma in una condizione di irregolarità, cosa che non fa altro che aumentare l’insicurezza sociale. Ci sembra quindi che si voglia generare insicurezza sociale in modo strumentale, in quanto questo può attrarre consensi maggiori e rendere la cittadinanza più incline ad accettare provvedimenti emergenziali e severi, che non risolvono davvero i problemi ma anzi li alimentano.
Quel “mai più” che è stato detto dopo Cutro non ha portato a soluzioni legali e tutelate per permettere alle persone di entrare in Italia o UE, che ci sembra essere l’unico rimedio reale ai pericoli e alle insicurezze di chi oggi non ha altra scelta che quella di viaggiare illegalmente. Non si sta andando nella direzione di creare ordine. Le scelte politiche ancora una volta posano sulla convinzione retorica secondo cui garantire protezione incoraggerebbe le persone a partire, mentre invece ostacolando la vita di chi arriva qui la gente smetterà di arrivare. Cosa che, è stato dimostrato molte volte, non è affatto vera.
La legge prevede anche numerosi tagli ai servizi di accoglienza. Come si giustificano secondo voi questi tagli ai vari servizi all’interno dei progetti (ad esempio l’insegnamento dell’italiano, l’assistenza legale e psicologica…)?
Probabilmente si pensa che questi servizi non servano, perché i progetti sono considerati luoghi di passaggio in cui le persone si trovano per periodi molto brevi. Peccato che non sia davvero così. In progetto le persone richiedenti asilo stanno a lungo, eppure vengono considerati inutili percorsi di integrazione che invece andrebbero potenziati.
Immaginando la situazione delle persone richiedenti asilo in Trentino oggi, quelle con cui quotidianamente vi interfacciate, che scenario prevedete con l’entrata in vigore di questa legge?
Abbiamo incontrato varie persone che, ancora prima dell'approvazione della legge, erano già terrorizzate rispetto alle minori possibilità di conversione e rinnovo dei permessi di soggiorno. Terrorizzate dall’idea di dover perdere altro tempo ed energie, dalla prospettiva di non poter rinnovare o convertire la propria protezione e di rimanere quindi appese ad un permesso di soggiorno sempre più debole. C’è molta preoccupazione, ed è una preoccupazione fondata. Le difficoltà maggiori andranno a colpire chi è già marginalizzato: prevediamo che numerose persone non avranno più modo di regolarizzare la loro posizione, perché i requisiti che pure presentano non saranno più validi da ora in avanti.
Le procedure saranno più complesse, in alcuni casi si arriverà magari anche allo stesso risultato, ma con il triplo degli sforzi: ci saranno molti più contenziosi (impegno enorme che toglie energie e denaro) e all’interno di questo schema sempre più complicato la percentuale di persone che si perdono è destinata a salire. Ancora una volta, saranno i più fragili e isolati a rimetterci più degli altri: lo stress e le conseguenze psicologiche di questa violazione di diritti porteranno molte persone a vivere nella precarietà e nell’irregolarità.
Tutto questo a fronte del fatto che i rimpatri non stanno davvero avvenendo e le migrazioni forzate nel mondo stanno aumentando.
In conclusione, ci sembra che questa sia l’ennesima occasione persa di immaginare scenari davvero nuovi, che guardino al fenomeno migratorio nella sua complessità, ragionando sulla disuguaglianza con cui è distribuita la libertà di movimento, l’assenza di scelta di chi proviene da una certa parte del mondo, il nostro privilegio e le sue conseguenze.
Quando saremo disposti a mettere in discussione tutto questo, allora forse potremo operare in maniera davvero risolutoria, e si potrà porre fine ai pericoli e alle stragi.
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